A tre anni dall’approvazione della legge 24/2017, nota come “Legge Gelli” dal nome di uno dei firmatari, è più che lecita una riflessione su che cosa ha determinato in ambito sanitario e il livello di conoscenza degli specialisti.
La norma prevede che il paziente danneggiato possa, perché è un suo diritto, agire direttamente entro i limiti del massimale, nei confronti dell’Agenzia assicurativa che “copre” la Struttura Sanitaria, oppure l’Operatore ritenuto responsabile del danno.
Linee guida: la criticità
Al momento della pubblicazione, la legge Gelli sembrava la soluzione adeguata per gestire le problematiche relative alle responsabilità del medico e al diritto alla salute del paziente. Nella pratica però i lati oscuri sono ancora parecchi.
A partire dalle linee guida, che rappresentano il parametro di riferimento per valutare la condotta tenuta dall’operatore sanitario. «Non possono essere ritenute un parametro rigido di valutazione dell’operato», spiega Gaetano Paludetti, Presidente Società Italiana di Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico facciale. «Non sempre vengono seguite, e questo non certo per scarsa diligenza, ma al contrario, per una tutela del paziente. D’altra parte è la stessa Legge Gelli a prevedere questa eventualità, quando, nel prescriverne l’adozione, limita poi l’applicazione in relazione alla “specificità del caso concreto”. In ogni caso, la Legge Gelli rimanda non a tutte le linee guida elaborate da società scientifiche italiane o internazionali, ma solo alle linee guida e alle buone pratiche codificate dall’ISS e da AGENAS. Allo stato attuale, basta consultare l’apposito portale dell’ISS, dove sono censite meno di 10 linee guida realizzate in conformità a quanto stabilito dalla Legge Gelli, per accorgersi che la normativa in questione sul punto non è ancora applicabile. Sono ancora valide pertanto le indicazioni della vecchia disposizione risalente a Balduzzi, la quale prevedeva un generico rimando a linee guida e raccomandazioni presenti in letteratura scientifica, un “rimedio” troppo fragile per trarne spunti operativi di univoca interpretazione. Questa situazione però si ripercuote negativamente sul medico, che lavora spesso con un ulteriore carico di stress».
Un approccio da cambiare alla fonte
La tensione a carico del medico inizia già all’università e si accentua durante i tre anni di Scuola di Specializzazione. «La legge Gelli andrebbe spiegata con un altro approccio», continua il Presidente. «Questo significa, nella sostanza, entrare nella specifica anche degli eventuali ricorsi in Cassazione, con il dettaglio delle sentenze, non soffermandosi soltanto sulle massime di principio che quelle sentenze contengono, ma contestualizzandole alle vicende cliniche di cui quelle sentenze trattano, affinché i giovani comprendano come valutare i pro e i contro di una decisione, sulla base delle conoscenze mediche e non frenati da postulati in sé rigorosi, ma che tuttavia discendono da un’interpretazione delle norme riferita agli specifici casi oggetto delle sentenze. Invece, cristallizzare le “massime” della Cassazione, estraniandole dal contesto clinico cui si riferiscono, come spesso purtroppo accade, fa sì che le stesse vengano recepite in modo crudo e che vengano quasi percepite come indicazioni tassative, superiori persino alle evidenze scientifiche, o comunque che la loro lettura inneschi paure e timori tra gli operatori sanitari, che non sono certo positivi al fine di una buona pratica».
Inevitabile, dunque, il ricorso alla cosiddetta “medicina difensiva” per minimizzare il rischio di eventuali contenziosi legali, con un surplus di spesa sanitaria. Dati alla mano, la medicina difensiva incide sul Servizio Sanitario nazionale in modo rilevante, con costi che si aggirano intorno al 10% della spesa sanitaria complessiva, secondo le stime economiche di una ricerca Agenas, Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali.
Il rapporto medico-paziente
Una soluzione per arginare questa realtà potrebbe essere il Consenso Informato. «Nell’ambito della nostra specializzazione notiamo che sono soprattutto i più giovani a eccedere in prescrizioni, perché si sentono spaventati», aggiunge il Presidente.
«Per questo, oltre a spiegare la legge Gelli con un approccio meno terroristico, enfatizzandone i contenuti positivi e riflettendo sulle sue criticità, comunque superabili, bisogna anche insegnare loro a utilizzare in modo diverso il Consenso Informato. Spesso viene consegnato al paziente come se fosse un modulo qualsiasi, ed è qui l’errore».
L’atteggiamento del paziente è ormai molte volte sulla difensiva fin dal primo approccio e diffidente nei confronti delle soluzioni proposte. «Se si instaura un buon rapporto di fiducia tra medico e paziente, difficilmente si arriva a dei contenziosi», chiarisce il Presidente. «Il colloquio e la chiarezza sono fondamentali e servono per la costruzione di una terapia ad hoc, con l’obiettivo della tutela della salute del paziente, senza altri fini. Un’informazione corretta e il più possibile completa, non mi stancherò mai di ripeterlo, permette al paziente di effettuare scelte consapevoli».
Le assicurazioni: un nodo importante
La copertura assicurativa per il singolo professionista e per la Struttura sanitaria è sicuramente la strategia migliore da adottare, ma non è semplice definire i profili assicurativi. Sono poche infatti le Agenzie con una preparazione specifica in ambito sanitario.
«Abbiamo creato una commissione apposita, composta prevalentemente da giovani», conclude il Presidente. «In questo momento c’è in atto un tavolo di lavoro con alcune Società assicurative, anche per avere più chiarezza sulle procedure e sulle tutele per il Personale Sanitario, con rischi da quantizzare in base alle procedure. Un’attività non invasiva come gli esercizi di riabilitazione vestibolare, per esempio, non può avere la stessa valutazione per quanto riguarda i rischi che avrebbero un’attività invasiva quale una biopsia nel distretto otorinolaringoiatrico, e ancora di più un’attività chirurgica. La “personalizzazione” della copertura è peraltro in linea con quanto previsto dalla Legge Gelli, che già distingue tra chi opera, da dipendente o assimilato, all’interno di strutture sanitarie, pubbliche o private, e chi invece agisce come imprenditore di sé stesso: agli uni impone di dotarsi di una copertura assicurativa per la sola ipotesi della colpa grave a tutela dell’azione eventuale azione di rivalsa che la struttura volesse intraprendere e fino ad un massimo pari al triplo della retribuzione lorda del professionista coinvolto nell’anno di accadimento del sinistro, agli altri invece impone la copertura assicurativa totale».
«E tuttavia» conclude Paludetti «per questi ultimi va individuata una gradualità, sulla falsa riga di quanto accade per le polizze assicurative in ambito RC auto, perimetrando adeguatamente i confini del rischio professionale e stabilendo delle fasce per categorie e per ambiti di attività esercitate. Si tratta di una valutazione complessa, che costringerà non soltanto gli operatori sanitari a una maggiore trasparenza sulle casistiche da loro trattate, ma anche i broker e le Compagnie ancora interessate a restare sul mercato ad affinare i loro strumenti di valutazione, adeguandoli ad una realtà che è ormai mutata nonostante la Legge Gelli non sia stata ancora pienamente realizzata».
Cinzia Testa
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