Oggi, 19 Marzo 2020, parliamo di

Bioprinting in alta risoluzione per incorporare cellule vive in matrici 3D

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Tra le numerose applicazioni della tecnologia allo studio della biologia, il bioprinting è in forte progresso negli ultimi anni, con una continua evoluzione nei processi e nei materiali impiegati.

Con il termine bioprinting, o bio-stampa, si indicano le tecniche che permettono di incorporare le cellule in apposite matrici stampate in tre dimensioni, per poterne studiare il comportamento e la crescita. Si tratta di processi complessi, che comportano difficoltà tecniche non trascurabili sotto diversi punti di vista.

Le sfide del bioprinting

Le caratteristiche dell’ambiente in cui la cellula vive sono fondamentali per la sua sopravvivenza, il suo sviluppo e la sua capacità di riprodursi. Per questo motivo è importante che le strutture 3D in cui incorporare le cellule abbiano caratteristiche il più possibile simili a quelle dell’ambiente ideale per la vita cellulare, che siano permeabili ai nutrienti, con un livello ottimale di flessibilità e in grado di degradarsi più o meno rapidamente in base alle necessità. Le matrici devono quindi essere stampate con alta precisione.

Le tecniche di bioprinting consentono di incorporare le cellule all’interno delle matrici direttamente durante il processo di stampa in 3D, ma è necessario che i liquidi o i gel impiegati come inchiostro non risultino dannosi. Inoltre, l’intero processo deve essere realizzato in tempi estremamente ristretti affinché le cellule si deteriorino.

Un processo più preciso e rapido

Un passo in avanti per superare questi ostacoli è stato compiuto da un gruppo interdisciplinare di ricercatori di tre diversi istituti della University of Technology (TU) di Vienna, che hanno utilizzato un particolare bio-inchiostro costituito da un gel di norbornene e, per incorporare le cellule nella matrice stampata in 3D, la tecnica della polimerizzazione a due fotoni. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Advanced Healthcare Materials.

Questo metodo sfrutta una reazione chimica che si attiva solo quando una molecola del materiale utilizzato come inchiostro assorbe contemporaneamente due fotoni emessi dal laser, che deve quindi avere alta intensità. In questo modo, quando il fascio laser colpisce il gel, solo le zone interessate si solidificano, e questo permette di realizzare strutture estremamente precise, dell’ordine del micrometro.

A fronte dell’alta risoluzione che è possibile ottenere, però, la polimerizzazione a due fotoni è di solito un processo molto lento, che consente di ottenere al massimo qualche millimetro di matrice al secondo. Grazie al gel utilizzato, invece, i ricercatori sono riusciti a incorporare le cellule in una matrice 3D stampata con una velocità di oltre un metro al secondo.

Questo dato è significativo, perché la rapidità con cui viene concluso il processo è determinante per garantire una più alta probabilità di sopravvivenza e di sviluppo delle cellule.

Il gel studiato ha dimostrato un’alta biocompatibilità, favorendo l’adesione delle cellule e la loro migrazione, garantendo inoltre il mantenimento della loro capacità di proliferazione.

«Questo metodo offre numerose possibilità per adattare l’ambiente in cui studiare le cellule» dice Aleksandr Ovsianikov, a capo del gruppo di ricerca che ha sviluppato la tecnologia di bioprinting. «Con queste matrici 3D è possibile osservare il comportamento delle cellule con un’accuratezza finora mai ottenuta. Si potrebbe studiare la diffusione delle malattie e, nel caso delle cellule staminali, produrre tessuti “su misura”».

Reference

Dobos A, Van Hoorick J, Steiger W, et al. Thiol-Gelatin-Norbornene Bioink for Laser-Based High-Definition Bioprinting. Adv Healthc Mater. 2019 Jul 26:e1900752.