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Potenziali evocati uditivi: a cosa serve e come si effettua l’esame

Il test dei potenziali evocati è un esame utilizzato per studiare la funzionalità dei nervi periferici sensitivi.

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Il test dei potenziali evocati è un esame elettrofisiologico che può essere utilizzato per studiare la funzionalità (sensibilità, qualità e tempi di risposta) di tutti i nervi periferici sensitivi.

Grazie a questo tipo di esami, è possibile valutare la presenza di alterazioni della percezione e della conduzione nervosa e/o neuromuscolare a livello di diversi distretti corporei e, in caso di anomalie potenzialmente patologiche, il medico può indirizzarsi verso la diagnosi di un danno a un nervo (traumatico, degenerativo, da compressione da parte di strutture adiacenti ecc.), di patologie neurologiche o neuromuscolari oppure di una neoplasia che coinvolge il nervo in vario modo.

Nel caso della valutazione della sensibilità periferica a livello di una mano o di un piede il test è detto dei “potenziali evocati somatosensoriali” e il relativo esame è comunemente indicato come “elettromiografia“. In presenza di disturbi dell’olfatto o della vista di dubbia natura, possono essere esaminati rispettivamente i potenziali evocati olfatti o visivi.

Per rilevare deficit a carico del nervo acustico (o cocleare) viene effettuato il test dei “potenziali evocati uditivi”, in termini tecnici chiamato anche ABR (Auditory Brainstem Responses). Mentre se è presente un disturbo dell’equilibrio meritevole di approfondimento, in aggiunta agli altri esami vestibolari, può essere eseguito il test dei “potenziali evocati vestibolari miogenici” o VEMPs (Vestibular Evoked Myogenic Potentials).

A che cosa serve l’esame dell’ABR

La valutazione dei potenziali evocati uditivi è molto utile per la diagnosi di una patologia “retrococleare”, ossia a carico del nervo acustico, che riceve gli stimoli uditivi dalla coclea e li trasmette prima al tronco encefalico e, quindi, al cervello (area uditiva della corteccia cerebrale).

Dopo che la visita e altre indagini hanno escluso la presenza di un disturbo dell’udito riferibile a un deficit di conduzione a livello dell’orecchio esterno (per esempio, un banale tappo di cerume) o dell’orecchio medio (alterazioni a carico del timpano o della catena degli ossicini), l’ABR permette di evidenziare possibili anomalie di tipo neurosensoriale alla base dell’ipoacusia e di caratterizzarla in funzione della risposta nervosa a suoni di diversa intensità e tono.

Questa procedura diagnostica è utile anche per la ricerca preliminare degli schwannomi vestibolari, tumori benigni a carico delle cellule che rivestono il nervo vestibolare, che possono alterare anche la funzionalità del nervo acustico. Se l’ABR rileva parametri al di fuori della norma, l’ipotesi diagnostica di schwannoma vestibolare deve essere confermata con l’esecuzione di una risonanza magnetica nucleare (RNM).

Con l’ABR è, inoltre, possibile stimare la soglia uditiva dell’orecchio esaminato e valutare, quindi, l’opportunità o meno di applicare un apparecchio acustico per migliorare la percezione dei suoni. La ripetizione dell’esame nel tempo permette di effettuare il monitoraggio del deficit della capacità uditiva.

L’ABR può essere effettuato sia negli adulti sia nei bambini con ipoacusia, generalmente rilevata nell’ambito di indagini precedenti (come l’esame audiometrico con cuffia e sollecitazione sonora) oppure segnalata dallo stesso soggetto.

Il test dei potenziali evocati uditivi può essere effettuato anche come valutazione di screening alla nascita, in neonati considerati a rischio di deficit uditivo congenito (per esempio, perché nati da uno o entrambi i genitori affetti da sordità) oppure a causa, per esempio, di patologie infettive virali o esposizione a sostanze ototossiche della madre in gravidanza.

Come vengono eseguiti i potenziali evocati uditivi

Il test dei potenziali evocati uditivi è un’indagine diagnostica specialistica, che deve essere effettuata da professionisti esperti di disturbi dell’udito e dell’equilibrio.

Per eseguire il test, è innanzitutto necessario che il medico applichi sulla superficie della testa del soggetto da esaminare, in posizioni standardizzate prestabilite, alcuni elettrodi che avranno lo scopo di registrare la risposta funzionale delle strutture nervose sollecitate. In genere, gli elettrodi vengono posti sul cuoio capelluto al vertice della testa e in corrispondenza di ciascun lobo cerebrale, analogamente a quanto avviene nel caso dell’elettroencefalogramma (EEG).

Dopo questa fase di preparazione, al paziente viene fatta indossare una cuffia attraverso la quale viene somministrata una serie di stimoli sonori con caratteristiche, intensità e durata definite (in genere, per circa 10-15 millisecondi). A ogni suono inviato, corrisponde una risposta sotto forma di segnale elettrico, con caratteristiche correlate al grado di funzionalità del nervo sollecitato o indicative di un potenziale deficit della capacità uditiva.

Per la corretta esecuzione del test dei potenziali evocati uditivi, il paziente viene fatto in genere accomodare su un lettino o una poltrona con poggiatesta, in modo che si possa assumere una posizione completamente rilassata, soprattutto a livello dei muscoli del collo, del viso e della mandibola. Questo accorgimento non è superfluo, dal momento che contrazioni muscolari a questi livelli si associano a una stimolazione nervosa “di fondo” che può alterare in modo significativo l’esito del test dei potenziali evocati uditivi.

Nel caso dei bambini più piccoli, spesso molto agitati e in allerta durante le visite mediche o comunque distratti da un ambiente non familiare, lo specialista può decidere di effettuare l’esame durante il sonno, spontaneo oppure (più frequentemente) indotto con farmaci adatti per la sedazione in età pediatrica e ben tollerati.

L’ABR è un test semplice e non invasivo, che non causa alcun dolore né disagio al soggetto esaminato e che generalmente richiede circa mezz’ora, a meno che non sia necessaria una sedazione preliminare.

Che cosa fare dopo l’esito dell’ABR

Se l’ABR rileva un’ipoacusia neurosensoriale, lo specialista dovrà attivarsi per la ricerca della potenziale causa, in particolare effettuando una RMN per escludere la presenza di neurinomi (schwannomi) del nervo acustico o vestibolare oppure di alterazioni anatomiche congenite o conseguenti a traumi che impediscono una corretta funzionalità nervosa e una precisa trasmissione degli stimoli sonori al tronco encefalico.

Il tipo di cura successivamente indicata dal medico dipenderà dall’esito degli approfondimenti e potrà contemplare, a seconda dei casi, l’applicazione di un apparecchio acustico oppure l’esecuzione di un intervento chirurgico (qualora si debba rimuovere lo schwannoma o correggere un difetto anatomico) e/o la riabilitazione, effettuata con diverse metodologie di miglioramento della comunicazione (verbale, non-verbale/mimica, mista).

Prevenzione della ipoacusia neurosensoriale

Per la prevenzione dell’ipoacusia neurosensoriale è possibile adottare alcuni accorgimenti:

  • evitare l’esposizione a rumori forti, specie per periodi prolungati
  • indossare cuffie protettive se si lavora in ambienti rumorosi (per esempio, cantieri, strade altamente trafficate, uso di macchinari ecc.)
  • non ascoltare musica a volume troppo alto, soprattutto con cuffie o auricolari
  • assumere farmaci ototossici solo se strettamente necessari e prescritti dal medico (soprattutto, in gravidanza)
  • trattare correttamente e tempestivamente ogni patologia a carico dell’orecchio (in particolare, otiti), con il supporto del medico
  • sottoporre a valutazione dello specialista ogni calo significativo dell’udito
  • effettuare le vaccinazioni raccomandate e adottare misure igienico-comportamentali per ridurre il rischio di infezioni virali in gravidanza e nei primi anni di vita del bambino.

Reference

  • EpiCentro – Istituto Superiore di Sanità. Disturbi dell’udito. (https://www.epicentro.iss.it/udito/).
  • Auditory brainstem response. Young A., Cornejo J., Spinner A. StatPearls Publishing 2021 Jan. (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/books/NBK564321/)