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Qual è la relazione tra COVID-19 e clima: ce lo spiega uno studio della Statale di Milano

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Condizioni meteo, umidità e clima sembrano svolgere un ruolo molto importante nell’andamento della pandemia di SARS-Cov2. Lo rivela uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università Statale di Milano (Dipartimento di Scienze e Politiche ambientali dell’ateneo) che ha analizzato su scala globale le relazioni tra incremento dei casi di COVID-19 e condizioni climatiche.

Il lavoro, disponibile come preprint su medRxiv, parte dalla considerazione che le condizioni meteorologiche e climatiche hanno in generale un ruolo molto importante nell’influenzare l’andamento delle epidemie, come dimostrato da numerosi studi condotti sulle malattie influenzali.

Per esempio, è ben noto che i virus influenzali si diffondono meno e sono meno persistenti nell’ambiente in climi caldo-umidi. «È pertanto verosimile che i fattori climatici influenzino anche la progressione della pandemia di COVID-19 attualmente in corso, causata dal virus SARS-CoV-2» spiegano i ricercatori.

Sfruttando un database globale di casi giornalieri confermati di COVID-19, realizzato e mantenuto dalla Johns Hopkins University, gli scienziati hanno ricavato il tasso di crescita giornaliero dei casi di COVID-19 in oltre 100 nazioni (o macroregioni entro nazione).

Il tasso di crescita, calcolato per i primi giorni di una epidemia, fornisce una indicazione di quanto velocemente si sta diffondendo la patologia nella popolazione colpita, prima che entrino in vigore misure contenitive. Gli studiosi hanno poi messo in relazione il tasso di crescita dei casi di COVID-19 con la temperatura e l’umidità medie dei mesi dell’epidemia.

Clima e COVID-19

La variazione del tasso di crescita di COVID-19 tra nazioni è risultata essere fortemente associata a temperatura e umidità. In particolare, l’epidemia cresce più rapidamente a temperature medie di circa 5°C ed umidità medio-bassa, compresa tra 0.6 e 1.0 kPa.

Viceversa, in un clima molto caldo e umido, caratteristico di alcune zone tropicali, l’epidemia sembra diffondersi molto più lentamente, anche se nessuna area popolata del mondo sembra essere completamente inidonea alla diffusione della patologia.

Differenze tra nazioni nei livelli di inquinamento atmosferico, di densità abitativa, e di investimento pubblico nel sistema sanitario non sembrano avere effetti significativi sulla crescita dell’epidemia.

Questi risultati hanno consentito agli autori dello studio, Francesco Ficetola e Diego Rubolini, di realizzare delle mappe globali di come il tasso di crescita di COVID-19 potrebbe cambiare nei prossimi mesi.

Le mappe evidenziano che vaste aree dell’emisfero australe, tra cui America meridionale, Sud Africa, Australia e Nuova Zelanda, presenteranno verosimilmente un clima e condizioni ambientali molto favorevoli a una rapida crescita dell’epidemia nei prossimi mesi, in assenza di misure contenitive.

«Questo studio contribuisce ad approfondire le nostre conoscenze su COVID-19, purtroppo ancora troppo limitate data la velocità a cui il virus si sta diffondendo su scala globale» concludono Rubolini e Ficetola.

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