La musica si sa che oltre alla “nuda sequenzialità” delle note è emozione, anima, vita. Ogni individuo la percepisce in modo diverso.
In tempi remoti era impensabile che le persone non udenti potessero suonare uno strumento, cantare o comporre, erano attività considerate impraticabili. Solo il compositore tedesco Ludwig van Beethoven, diventato sordo quando aveva trent’anni, che continuò a suonare e scrivere musica nonostante la sordità, era considerato un’eccezione.
Da allora ad oggi sono molti gli esempi di artisti da Eric Clapton, Pete Townshend, Ozzy Osbourne, Neil Young a Gino Paoli, che manifestano un deficit uditivo a causa della longeva quanto dura attività tra palchi e sale d’incisione colpiti da decibel assordanti, ma che non hanno mai smesso di comporre e fare musica.
Ma da Beethoven ai nostri tempi la musica e la sordità non sono più in conflitto. Sempre più persone sfidano il silenzio e trovano nella musica un modo di comunicare, una possibilità di sentire in maniera differente e di esprimere le proprie emozioni.
Ho voluto scrivere questo articolo perché come musicista e direttore d’orchestra alla ricerca sempre di emozioni da vivere e da poter trasmettere agli altri, sono convinto che la musica è una forma d’arte che riguarda tutti e che non deve escludere nessun individuo.
Dobbiamo concepire la musica come la intendevano i greci, cioè come mousiké, concetto sicuramente più ampio rispetto a come lo intendiamo noi oggi, vale a dire musica intesa come fenomeno che è al tempo stesso sonoro – acustico – ritmico – linguistico – gestuale, cioè musica intesa come arte del tempo, arte della dinamica del corpo, per cui un’arte che non conosce barriere.
Effettivamente anche se ancor oggi sull’aspetto sordità-musica vi sono dei pregiudizi, ma, essendo il mondo dei sordi il mondo dal quale proveniamo tutti noi, quest’insaziabilità di suoni com’è insita negli udenti, lo è nei sordi; questo accade anche perché tutti gli esseri umani sono circondati da suoni e musiche a partire dalla vita nel grembo materno, il quale viene chiamato da alcuni studiosi la “Prima Orchestra”, orchestra che permette di accordare in una vibrazione – fisica e sonora – il corpo della mamma e quello del bambino. Queste esperienze sonore ascoltate in grembo, rimarranno radicate nella memoria originale di ognuno di noi, anche delle persone non udenti.
Detto questo però la domanda nasce spontanea: com’è possibile tutto questo visto che le persone sorde probabilmente già prima dalla nascita non sono dotati di udito?
L’ascolto è qualcosa di complesso. È sbagliato quindi attribuire l’ascolto di suoni, rumori, parole e musiche soltanto alle orecchie. I sordi sentono come noi perché il loro corpo, in particolare le loro mani, sono le loro orecchie.
Attraverso la risonanza corporea i non udenti si accorgono di qualcosa che investe il loro corpo, permettendogli di “ascoltare” in un diverso modo.
Nel momento in cui i sordi provano emozione sentendo una musica, la manifestano allo stesso modo di qualsiasi altro individuo normoudente. Questo è essenziale per dimostrare come la musica, intesa come musa ispiratrice delle nostre emozioni, ha lo stesso valore tanto per gli udenti quanto per i sordi. Tante volte usiamo questo modo di dire, forse perché effettivamente le emozioni le percepiamo con il cuore e non con l’orecchio.
Si può quindi affermare che il rapporto sordità-musica è un rapporto reale e significativo e che il lavoro e l’impegno di musicisti sordi ne è un esempio per le persone sorde ma soprattutto per gli udenti, in quanto questo può far capire che siamo tutti umani e possiamo fare le stesse cose. Come afferma Daniele Gambini musicista e compositore sordo:
“… Lo strumento trasmette la mia energia e le mie composizioni sono la mia voce, che parla ancora più delle parole perché, come dissero i grandi della musica ‹‹la musica arriva là dove le parole non arrivano››.
Ricciotto Scuttellà, artista del territorio della provincia di Reggio Calabria che voglio far conoscere, ha fatto delle sue mani un mezzo di ascolto: grande liutaio, morto ormai da diversi anni (fig.1), ha lasciato un immenso patrimonio di strumenti musicali. Citato nelle riviste di viaggio del Gruppo Editoriale Fabbri come uno dei più grandi e interessanti artigiani meridionali.
Erede di una antica dinastia di artigiani del “legno che suona”, nel corso della sua lunga attività aggiunse e superò i più ambiti traguardi nella difficile arte della liuteria. Nella sua bottega di via Roma a Delianuova (RC) gli bastava toccare le corde della chitarra e dalla loro tensione riusciva a fare un’accordatura perfetta.
Pizzicava le corde facendole vibrare e “sentendo” attraverso quelle vibrazioni la musica che trasmette sensazioni e sentimenti (fig.2).
Una sensibilità tattile straordinaria che gli venne dall’essere “sordomuto” dalla nascita. A Delianuova lo chiamavano mastro liutaio e la su a bottega artigiana le era considerata un “luogo sacro” posto in cui nel suo minuzioso lavoro laboratoriale doveva essere assolutamente da solo per poter produrre le sue creazioni e pretendeva che nessuno lo disturbasse durante la sua attività artigianale.
Partecipò a mostre, vinse premi e ricevette onorificenze. Numerose le medaglie al merito conferitogli. Rappresentando così la rivoluzione e contemporaneamente la tradizione.
L’Associazione Culturale Nicola Spadaro di Delianuova, che si caratterizza ormai da 20 anni per l’attività concertistica e culturale, della propria orchestra giovanile di fiati “Giuseppe Scerra”, della quale sono maestro direttore, ha all’interno della propria struttura un “Museo storico-musicale“ con una diffusa documentazione bibliografica di carattere musicale ed un patrimonio particolarmente significativo sia di antiche partiture che di strumenti musicali che hanno caratterizzato la musica popolare calabrese.
Tra gli strumenti esposti al pubblico vi sono quelli donati dalla famiglia Scutellà, che fanno vedere la grande bravura del grande maestro liutaio deliese.