Lo screening neonatale della perdita dell’udito congenita rientra tra le indagini di screening offerte gratuitamente a tutti i nuovi nati dal Servizio Sanitario Nazionale (SSN), a prescindere dal livello di rischio individuale e familiare, e viene eseguito nei Punti Nascita nei primi giorni di vita.
Benché i Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) ne prevedessero l’attuazione estesa fin dal 2001, è soltanto dopo la revisione del decreto, avvenuta nel 2017, che l’UNHS (Universal Newborn Hearing Screening) è diventato obbligatorio su tutto il territorio nazionale, iniziando a ridurre le disparità organizzative e di attuazione esistenti tra le diverse Regioni.
Scopo dello screening neonatale dell’ipoacusia congenita è diagnosticare tempestivamente un eventuale difetto uditivo e determinarne il grado di severità nell’ottica di intraprendere interventi terapeutici di dimostrata efficacia che, se avviati fin dai primi mesi di vita, sono in grado di ridurre in modo significativo l’impatto dell’ipoacusia sullo sviluppo neurocognitivo e del linguaggio bambino, prevenendo l’instaurarsi di gravi disabilità permanenti (ritardo dell’apprendimento, esclusione sociale, invalidità lavorativa ecc.) e migliorando, a breve e a lungo termine, la qualità di vita della persona interessata e dei familiari. Lo screening neonatale esteso permette, inoltre, di avviare precocemente la cura delle rare malattie che causano la perdita di udito.
L’impatto sociale e sanitario dell’ipoacusia congenita
I più recenti dati disponibili indicano che attualmente, a livello globale, circa 432 milioni di adulti e 34 milioni di bambini convivono con una condizione uditiva disabilitante, definita come una perdita dell’udito nell’orecchio migliore, superiore a 40 dB negli adulti e a 30 dB nei bambini: una quota che corrisponde a oltre il 5% della popolazione mondiale e che comprende sia le forme congenite sia quelle acquisite nel corso della vita.
Ma in quanti casi i problemi di udito sono presenti già alla nascita? I dati più affidabili, applicabili anche alla situazione italiana, segnalano una prevalenza compresa tra 1 e 3 casi ogni 1.000 nati sani, che aumenta sensibilmente in presenza di fattori di rischio di perdita dell’udito e fino a dieci volte nel caso di neonati pretermine e/o ricoverati in terapia intensiva neonatale per problemi di salute di vario tipo (arrivando fino a circa 30 casi ogni 1.000 nati vivi).
In passato, lo screening audiologico nei primi giorni di vita era previsto soltanto per i neonati con fattori di rischio noti, che rendono conto però soltanto del 50% circa delle sordità permanenti dell’infanzia. Negli altri casi, la diagnosi di ipoacusia congenita veniva posta in media intorno ai 2-3 anni di età, a fronte del riscontro di sintomi di un difetto uditivo da parte dei genitori o del pediatra, come una scarsa reattività del bambino agli stimoli sonori, linguaggio e apprendimento ritardato e disturbi comportamentali. A questa età, è però già tardi per una prevenzione efficace, dal momento che i primi 24 mesi sono essenziali per sviluppare le capacità di apprendimento.
Grazie al programma UNHS, oggi la stragrande maggioranza delle ipoacusie congenite può essere evidenziata e caratterizzata alla nascita, anche tra i neonati senza fattori di rischio, permettendo di avviare un intervento precoce, entro il 6° mese di vita, come raccomandato dalle istituzioni sanitarie, con sostanziali benefici in termini di sviluppo delle capacità comunicative e di apprendimento, maturazione neurocognitiva e funzionamento sociale del bambino. Dal 2017, in Italia, circa il 95,5% dei neonati viene sottoposto allo screening uditivo, con un’implementazione particolarmente efficiente nei punti nascita del Nord-Ovest, del Nord-Est e del Centro.
Tipi di ipoacusia congenita e fattori di rischio
Le ipoacusie congenite permanenti sono per lo più di tipo neurosensoriale (ossia, legate a un danno o un malfunzionamento della coclea) e, tra queste, circa il 50-60% ha una causa genetica. Circa il 25% è, invece, una forma acquisita durante la vita intrauterina, durante il parto o poco dopo la nascita, mentre per un ulteriore 20-25% circa la causa resta indeterminata.
Al contrario, l’ipoacusia di tipo trasmissivo dell’infanzia è più spesso di tipo transitorio e può essere dovuta, per esempio, alla presenza di un’otite media o di un accumulo di liquido amniotico, benché possano essere riscontrati anche casi di ipoacusia trasmissiva permanente, associati alla presenza di malformazioni dell’orecchio esterno e/o medio o ad altre malformazioni cranio-facciali.
I principali fattori di rischio per lo sviluppo di sordità neonatale comprendono:
- consanguineità tra i genitori
- familiarità per ipoacusia
- anomalie craniofacciali
- ciuffo di capelli bianchi/discromie cutanee descritte in associazione con sindromi che includono ipoacusia permanente neurosensoriale o trasmissiva;
- infezioni da microrganismi del gruppo TORCH (toxoplasma, rosolia, citomegalovirus e herpes virus) contratte in gravidanza
- sepsi e meningiti neonatali
- basso peso alla nascita (< 1.500 g)
- assunzione di farmaci ototossici (in particolare, antibiotici aminoglicosidici, diuretici dell’ansa, chemioterapici)
- iperbilirubinemia severa
- anossia grave/ventilazione prolungata
- uso di ECMO (Extra-Corporeal Membrane Oxygenation).
Come viene condotto lo screening audiologico
Lo screening dell’ipoacusia congenita viene condotto con diverse modalità a seconda che il neonato presenti o meno fattori di rischio e prevede un percorso a tappe, con tre livelli di approfondimento successivi, in funzione dell’esito ottenuto ai test di volta in volta proposti.
Attualmente, in Italia, per tutti i neonati è prevista una prima valutazione entro 24 ore dal parto (o comunque entro 48-72 ore o prima della dimissione), attuata da personale infermieristico adeguatamente formato, talvolta supportato da un audiometrista. Questo primo livello di valutazione prevede l’esecuzione di:
- in neonati senza fattori di rischio, test delle otoemissioni acustiche (TEOAE);
- in neonati con fattori di rischio, TEOAE + potenziali evocati acustici del tronco encefalico automatici (a-ABR).
Nei nati da parto con taglio cesareo si ritiene preferibile posticipare la valutazione dell’udito di 2-3 giorni, in considerazione della possibile presenza di liquido amniotico o vernice caseosa nel condotto uditivo esterno. Discorso analogo vale per i nati pretermine, a causa dell’immaturità del sistema uditivo centrale e del ridotto calibro del condotto uditivo esterno.
Se i risultati dell’esame audiologico indicano la presenza di normoacusia bilaterale, viene emesso un esito positivo “PASS”, mentre se emerge un sospetto di difetto uditivo mono o bilaterale viene emesso un esito negativo “REFER”, che prelude a test di approfondimento.
In questa fase è cruciale la corretta comunicazione dei risultati ai genitori: da un lato, è importante sottolineare che un esito PASS non deve indurre a trascurare l’ulteriore controllo dell’udito nei primi anni di vita, dal momento che una quota di ipoacusie permanenti dell’infanzia ha un’insorgenza ritardata; dall’altro lato, è bene rassicurare che un esito REFER iniziale non decreta l’effettiva presenza di ipoacusia congenita, ma costituisce soltanto un’indicazione della necessità di effettuare ulteriori accertamenti.
Il passaggio successivo prevede che:
- i neonati senza fattori di rischio risultati PASS vengano affidati al pediatra di libera scelta, che si occuperà del monitoraggio dell’udito negli anni successivi (sorveglianza audiologica), nel contesto della presa in carico complessiva del bambino;
- i neonati senza fattori di rischio risultati REFER vengano inviati, entro il 3° mese di vita, a un Centro audiologico di 2° livello per la conferma del sospetto di sordità da parte di un team di professionisti con competenze audiologiche (audiometrista, audiologo, specialista otorinolaringoiatra).
A questo punto se il neonato risulta ancora REFER, la diagnosi di ipoacusia è confermata, e si procede all’invio a un Centro di Audiologia di 3° livello per l’esatta caratterizzazione della sordità, presente attraverso test strumentali oggettivi e soggettivi, la definizione della protesizzazione acustica appropriata, l’avvio del percorso di riabilitazione e l’eventuale indicazione all’impianto cocleare.
I neonati con fattori di rischio, anche se il risultato del test iniziale è PASS, vengono inseriti in un percorso strutturato di sorveglianza audiologica, con valutazioni periodiche in Centri di 2° o 3° livello, mentre i casi REFER vengono inviati a un Centro di Audiologia di 3° livello per la conclusione dell’iter diagnostico e la definizione della terapia da impostare, analogamente a quanto già indicato per i neonati senza fattori di rischio.
I test previsti: 1°, 2° e 3° livello
Il primo test previsto per lo screening uditivo neonatale, il TEOAE, è un esame di breve durata e non invasivo, che non necessita della collaborazione del neonato e che può essere eseguito nel sonno, inviando al bambino stimolazioni sonore di diversa intensità.
L’apparecchiatura per eseguirlo è composta da uno strumento portatile, cui è collegata una sonda che viene inserita nel condotto uditivo del neonato. La sonda contiene un trasduttore che invia gli stimoli acustici (click a 35 dB sulle frequenze 0.5, 1, 2, 4 KHz) e un microfono per registrare i suoni in risposta, che forniranno l’esito del test, PASS o REFER, in pochi secondi.
Il test dà esito positivo PASS se si registrano OAE in 3 frequenze su 4, altrimenti il risultato sarà REFER e il bambino verrà segnalato per gli accertamenti di 2° livello. In questo contesto, il medico del Servizio di Audiologia territoriale o lo specialista otorinolaringoiatra ospedaliero eseguono l’ABR automatico (a-ABR).
Gli a-ABR prevedono la registrazione delle risposte elettriche del tronco encefalico, ottenute dopo invio di impulsi al cervello di tipo sonoro, indicative del funzionamento della parte nervosa del sistema uditivo. L’apparecchiatura per a-ABR è composta da uno strumento portatile collegato a cuffie o auricolari per la somministrazione dei suoni e da un’interfaccia di ingresso dei segnali (click a 35 dBHL), con elettrodi che vengono applicati su ossa mastoidi, guancia e fronte.
È indispensabile che il test sia eseguito nel sonno poiché ogni movimento muscolare può alterare il risultato. L’esito PASS o REFER si ottiene immediatamente e, se necessario, il medico può ripetere il test utilizzando suoni di diversa intensità. L’esame è superato se il risultato è PASS per entrambe le orecchie, viceversa sarà considerato REFER e il neonato sarà sottoposto ad ABR clinico con ricerca della soglia e presa in carico da parte del Centro di 3° livello.
A questo punto, oltre alla visita audiologica e all’otomicroscopia, vengono di norma eseguiti accertamenti audiometrici aggiuntivi quali: TEOAE, DPOAE (prodotti di distorsione delle OAE), impedenzometria, audiometria comportamentale infantile, potenziali evocati uditivi corticali tardivi (SVR) – eseguibili anche con apparecchio acustico – ed elettrococleografia (ECochG) in casi selezionati.
Il Centro di 3° livello deve anche accertare la possibile causa della perdita dell’udito, richiedendo la valutazione di medicina genetica e i test molecolari, l’accertamento di eventuali infezioni da citomegalovirus contratte durante la gravidanza, la consulenza del pediatra/medico genetista dismorfologo in presenza di alterazioni morfologiche, l’esecuzione di TAC e risonanza magnetica nucleare (RMN) dell’orecchio medio e interno e dell’encefalo.
Una volta concluso l’iter diagnostico, si passa alla presa in carico multidisciplinare del bambino, con il coinvolgimento dell’audioprotesista (per l’individuazione dell’apparecchio acustico più idoneo), del logopedista (per la riabilitazione della fonazione), dello psicologo (per supportare lo sviluppo neurocognitivo del bambino, la gestione della disabilità e il funzionamento sociale), il pedagogista e l’assistente sociale.